In libreria dal 31 ottobre 2018 il libro di Giacomo Debenedetti “Cinema: il destino di raccontare”, a cura di Orio Caldiron e edito da La nave di Teseo insieme al Centro Sperimentale di Cinematografia.
«Sembrerà un paradosso, ma ci voleva il cinema per costringere Giacomo Debenedetti a parlare esplicitamente dei problemi di metodo che nei suoi saggi fa di tutto per evitare. Nelle lezioni universitarie, se non riesce a liberarsene con una battuta o un aneddoto, avvia una lunghissima divagazione che, come certi ricorrenti rituali propri di ogni professore, sembra cercare la complicità degli allievi più maliziosi. Quando all’inizio degli anni cinquanta rievoca la lontana stagione delle polemiche sul cinema tra arte e non arte gli capita di sbilanciarsi sull’argomento come non è mai successo prima […]. Nessuno meglio di Pasolini ha detto dell’uomo Giacomo Debenedetti in un memorabile intervento in cui riesce a sintonizzarsi con lo strepitoso incipit della Commemorazione che non era stata ancora scritta» (Orio Caldiron, Introduzione a Giacomo Debenedetti, Cinema: il destino di raccontare, La nave di Teseo-Centro Sperimentale di Cinematografia, Milano-Roma, 2018)
«Debenedetti è uno fra gli uomini più agguerriti che operino nella cultura italiana. Ma per me, continua a essere come la prima volta che l’ho conosciuto, come è in realtà: un uomo tutto ansia e passione. Era nel primo dopoguerra, a Firenze: io ero un giovane facitore di versi friulani perduto nella platea, e Debenedetti parlava a questa platea: cosa dicesse non ricordo, a chi dicesse e per quale occasione, nemmeno; cero, una di quelle giornate della speranza. Ricordo solo lui che dice. […] C’era tutto lui, insomma, com’è nella storia. Forse che l’amore non sa che farsene della storia? Il mio amore è nato per un uomo che palpitava, cercava, tremava: il nostro amore è per un uomo che palpita, cerca, trema» (Pier Paolo Pasolini, 1961)
Se si escludono le bellissime pagine su Charlie Chaplin, il suo attore-feticcio, Nel Romanzo del Novecento, il grande affresco di Giacomo Debenedetti sulle forme narrative del “secolo breve”, manca un capitolo, quello sul cinema, un’esperienza ormai alle spalle. Cinema: il destino di raccontare ricompone il capitolo mancante, attingendo dalle riviste letterarie e cinematografiche, e dai quotidiani, un gran numero di interventi che delineano il ritratto inedito di uno dei pochissimi scrittori di cinema in cui il rapporto fra teoria e pratica è forte e incisivo, la concretezza dei riferimenti assolutamente estranea al compiaciuto estetismo dei letterati imprestati al cinema. Il suo territorio d’elezione è il cinema americano, dove la sceneggiatura è in grado di «mettere tutto in movimento». Se grazie alle prodigiose risorse della macchina produttiva tutto funziona, o quasi, il merito va anche agli attori ed alle attrici. Sono loro che evocano le intermittenze del cuore. Soprattutto Katharine Hepburn, la quale «ci fa toccare alcuni segni del Destino con la maiuscola. È andata lei personalmente […] a parlare con la Sfinge. È una di quelle che si sono voltate indietro, e tuttavia ritornano a noi».
Giacomo Debenedetti (Biella, 1901 – Roma, 1967) è stato uno fra i maggiori critici letterari del Novecento. Ha insegnato all’Università di Messina e di Roma La Sapienza. Già nella Torino della sua formazione intellettuale, il cinema ha un posto di rilievo con il lavoro per Stefano Pittaluga e per la Cines, a cui farà seguito il notevole contributo alla nascita del doppiaggio. Nell’autunno 1936 si trasferisce a Roma su invito di Rudolf Arnheim (1904-2007), il futuro grande psicologo dell’arte autore del celebre Film come arte (1954), e collabora alla rivista «Cinema», dove tiene con grande autorevolezza la rubrica di critica. Costretto all’anonimato dal dramma delle leggi razziali del ’38, intensifica l’attività di sceneggiatore, scrivendo – soprattutto con Sergio Amidei – una ventina di film. Dal ’46 al ’56 è redattore dei testi parlati del cinegiornale «La Settimana Incom», migliaia di pagine che raccontano le difficoltà e le speranze degli italiani del dopoguerra. Nel ’58 contribuisce a Milano alla nascita della casa editrice Il Saggiatore, della quale diventa direttore letterario. Studioso e traduttore di Marcel Proust e James Joyce, si rivela narratore con 16 ottobre 1943, struggente memoria del rastrellamento del ghetto ebraico e della deportazione degli ebrei romani. Il suo ultimo, grande saggio sarà Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, letto alla fine di agosto 1965 alla mostra del Cinema di Venezia. Appariranno postumi Il romanzo del Novecento (1971), Poesia italiana del Novecento (1974), Verga e il naturalismo (1976), Pascoli: la rivoluzione inconsapevole (1979), Proust (2005).
Cinema: il destino di raccontaredi Giacomo Debenedetti, a cura di Orio Caldiron, pubblicato da La nave di Teseo (Milano) in coedizione con il Centro Sperimentale di Cinematografia (Roma) nella collana “le Isole”, è disponibile in libreria e online da novembre 2018.