La Festa del Cinema di Roma omaggia Gregory Peck nel centenario della sua nascita

“Mio padre, Gregory Peck, era un uomo dolce, innamorato e deciso”, ricorda sua figlia Cecilia. “ Era pronto a battersi...

Gregory Peck ne "Il buio oltre la siepe" (1962) di Robert Mulligan

“Mio padre, Gregory Peck, era un uomo dolce, innamorato e deciso”, ricorda sua figlia Cecilia. “ Era pronto a battersi per i diritti civili tra un ruolo impegnato e una commedia romantica come “Vacanze romane”. In tutti i personaggi c’è qualcosa di lui, anche nello scanzonato reporter Joe Bradley che ha cambiato la sua vita. E la mia”.

Al grande attore americano, che avrebbe compiuto cento anni il 5 aprile 2016, la Festa del Cinema di Roma ha dedicato due serate speciali. Martedì 18 ottobre 2016 è stato proiettato in piazza di Spagna Vacanze romane (1953) di William Wyler, in cui lavorò con una giovane Audrey Hepburn (la quale vinse l’Oscar come Miglior Attrice Protagonista) e Eddie Albert; il giorno seguente, presso la Casa del Cinema, il pubblico ha invece assistito al documentario girato dalla regista e produttrice Cecilia Peck.

Nato a La Jolla nel 1916, Eldred Gregory Peck era figlio di un’insegnante di origine scozzese un farmacista di origini irlandesi. Nel ’36, a vent’anni, si iscrive alla facoltà di Medicina, dedicandosi anche all’attività sportiva gareggiando in una squadra di canottaggio. Due anni dopo, nel corso di una trasferta a New York rimane affascinato da uno spettacolo teatrale a cui aveva assistito e, una volta tornato a Los Angeles, si iscrive al Neighborhood Playhouse con l’intenzione di intraprendere la carriera d’attore.

Dopo alcuni anni di attività teatrale, nel ‘44 l’allora ventottenne Peck ottiene il suo primo contratto cinematografico di sette anni – con la Twentyth Century Fox – ed esordisce nel ruolo di un partigiano russo in Tamara, figlia della steppa (1944) di Jacques Tourneur. Pochi mesi dopo lavora ne Le chiavi del paradiso (1944) di John M. Stahl, per cui ottiene la sua prima Nomination all’Oscar, seguito, l’anno seguente da La valle del destino (1945) di Tay Garnett, in cui lavora con Greer Garson. Nello stesso anno,  la carriera avrà una svolta fondamentale grazie all’incontro con Alfred Hitchcock, il quale lo affianca a Ingrid Bergman  nel giallo psicoanalitico Io ti salverò (1945), tratto dall’omonimo romanzo di Francis Beeding (pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 2015). Il film, che mostra un volto nuovo dell’attore – molto più misterioso e tormentato – avrà grande successo e il giovane Peck verrà subito convocato per  lavorare con altri importanti registi dell’epoca, quali Clarence Brown per Il cucciolo (1946), con cui ottenne la sua seconda Nomination all’Oscar, King Vidor per il celebre western Duello al sole (1946), in cui lavora con Jennifer Jones, Joseph Cotten e Lionel Barrymore, di nuovo Alfred Hitchcock per il giallo giudiziario Il caso Paradine (1947), in cui lavora con Alida Valli, Elia Kazan per Barriera invisibile (1947), duro atto di accusa contro l’antisemitismo e con cui ottiene la sua terza Nomination

Ne Il grande peccatore (1949), di Robert Siodmak, lavora per la prima volta con Ava Gardner, che, negli anni successivi, ritroverà in altri tre film. Gli anni Quaranta si chiudono con il film bellico Cielo di fuoco (1949), di Hery King, con cui ottiene la sua quarta Nomination, e il western Cielo giallo (1949) di William A. Wellman, in cui lavora con Anne Baxter e Richard Widmark.

Nel corso degli anni Cinquanta consolida sia il suo successo sul grande schermo sia la sua popolarità presso il “grande pubblico”. Dopo i western Romantico avventuriero (1950) di Henry King e L’avamposto degli uomini perduti (1951) di Gordon Douglas interpreta lo scrittore Ernest Hemingway ne Le nevi del Kilimangiaro (1952), tratto da un racconto dello stesso Hemingway e in cui lavora nuovamente con Ava Gardner, mentre, nel ’53, viene diretto da William Wyler nel celebre Vacanze romane, girato a Roma e in cui lavora con una giovane Audrey Hepburn al suo primo ruolo da protagonista.

Peck ha lavorato sempre con registi di grande calibro: John Huston in Moby Dick (1956), tratto dal celebre e omonimo libro di Herman Melville, in cui interpreta il capitano Achab, Vincente Minnelli ne La donna del destino (1957), in cui lavora con Lauren Bacall, di nuovo William Wyler ne Il grande Paese (1958), in cui lavora con Carroll Baker, Jean Simmons e Charlton Heston, di nuovo Henry King nel western Bravados (1958), in cui troviamo anche un giovane Lee Van Cleef nella fase pre “spaghetti western” Sergio Leone,  e in Adorabile infedele (1959), in cui interpreta lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, Stanley Kramer ne L’ultima spiaggia (1959), forte critica alla guerra nucleare, in cui lavora con Ava Gardner, Fred Astaire e Anthony Perkins.

Nel ’61 interpreta il celebre film bellico I cannoni di Navarone (1961) di Jack Lee Thompson, in cui lavora con David Niven, Anthony Quinn, Irene Papas e Anthony Quayle.

Ne Il buio oltre la siepe (1962), tratto dall’omonimo libro di Harper Lee del 1960 (vincitore del premio Pulitzer), e diretto da Robert Mulligan, nel ruolo dell’avvocato Atticus Finch, Gregory Peck offre una fra le migliori performance della sua carriera e vince un Oscar come Miglior Attore Protagonista.

Nello stesso anno interpreta anche il ruolo di un avvocato perseguitato da uno psicopatico nel thriller Il promontorio della paura (1962) di Jack Lee Thompson, in cui lavora con Robert Mitchum e Martin Balsam.

Nel corso degli anni Sessanta, che pure lavora in film come  …e venne il giorno della vendetta (1963) di Fred Zinnemann, il thriller psicoanalitico Mirage (1965) di Edward Dmytryk, Arabesque (1966), di Stanley Donen, in cui lavora con Sophia Loren, La lunga ombra gialla (1969) di Jack Lee Thompson, il western La notte dell’agguato (1969) di Robert Mulligan.

Negli anni Settanta, Peck ottiene ancora successo con il western Il solitario di Rio Grande (1971) di Henry Hathaway e con il thriller Il presagio (1976) e lavora in pellicole quali MacArthur il generale ribelle (1977) di Joseph Sargent e I ragazzi venuti dal Brasile (1978)  di Frankln J. Schaffner, in cui lavora con Laurence Olivier e interpreta il sadico medico nazista Josef Mengele.

A partire dagli anni Ottanta diraderà sempre più le sue apparizioni. All’inizio degli anni Novanta lo troviamo – così come anche Robert Mitchum e Martin Balsam – in un ruolo secondario in Cape Fear – Il promontorio della paura (1991) rifacimento dell’omonimo e già citato film di circa trent’anni avanti e interpretato da Nick Nolte – in quello che era stato il suo ruolo -, Robert De Niro – nella parte che era stata di Robert Mitchum e Jessica Lange – nel ruolo che era stato di Polly Bergen.

Gregory Peck muore a Los Angeles nel giugno 2003 a causa delle complicazioni di una broncopolmonite.

 

Il ricordo di Cecilia Peck

 

Lei è figlia di Vacanze romane?

“Mia madre era giornalista a Parigi e ha incontrato papà per un’intervista sul film: due anni dopo erano sposati e sono rimasti insieme circa mezzo secolo, innamoratissimi. Erano anime gemelle, raramente hanno passato una notte divisi”.

Cecilia Peck sorride ricordando il padre nel volto ma soprattutto nell’anima battagliera. Un americano a Roma, come si è trovato?

“Papà ha adorato Roma. Si divertiva molto davanti alla gente che faceva capannello e gridava commenti anche mentre loro giravano. Non ci era abituato. Da allora è tornato più volte portando noi ragazzi a fare il tour in tutti i luoghi in cui è stato girato, da Trinità dei Monti a Fontana di Trevi”.

Gregory Peck e Audrey Hepburn: il giornalista e la principessa.

“Diceva di non aver mai visto un’attrice così. In fondo era quasi una sconosciuta ma credibile, diretta, vera. Divennero subito amici, tanto che nella scena alla Bocca della verità le fece uno scherzo: tenne la mano nella giacca fingendo che il mostro gliela avesse mangiata perché bugiardo. Audrey non se l’aspettava, la sua reazione stupita, impaurita è tutta vera, ed è nel film”.

Che tipo di padre era?

“Con me, la più piccola dei suoi figli e unica femmina, era iper protettivo ma anche molto più tollerante. L’importante era essere onesti e sinceri con lui, a quel punto era pronto ad ascoltare e aiutare. In fondo era molto simile all’avvocato Atticus Finch de Il buio oltre la siepe: severo ma giusto e amorevole. Era anche più affettuoso, ironico, spiritoso del personaggio che ha amato di più, tra i tanti che gli somigliavano. In tutti c’era una profonda integrità con ombre e dilemmi morali”.

Cosa vi ha insegnato?

“Credeva nell’istruzione e nell’amore, nel lavoro duro, nella difesa di quello in cui si crede. Era figlio di lavoratori cresciuto in tempi duri con una forte etica del dovere. Non ha sprecato un attimo della sua vita, lavorava tantissimo e fuori dal set si godeva la vita: adorava l’arte moderna e l’antiquariato, la letteratura e la storia, musica, teatro, e soprattutto crescere le sue amate orchidee”.

Cosa ha preso da lui?

“Il coraggio di battermi per quello in cui credo. Lui è stato un instancabile avvocato dei diritti civili, dell’eguaglianza, ha girato film contro l’antisemitismo, il razzismo quando nessuno voleva farli. Non aveva timore ad esporre le sue idee. Ha parlato contro la pena di morte e l’intervento in Vietnam, contro la proliferazione nucleare e la vendita di armi, sosteneva i diritti Lgbt. Forse per questo suo impegno civile io ho girato un film contro la violenza sulle donne, Brave miss world, e so che sarebbe stato fiero di me. Durante le riprese ho scoperto che lui e la mamma avevano aiutato la nascita del primo centro di soccorso alle donne violate di Los Angeles”.

Come finì nella lista dei nemici di Nixon?

“Il Paese era diviso sull’intervento in Vietnam e la maggior parte dei progressisti era contrario. In quell’occasione mio padre scopri di essere nella lista ufficiale dei nemici del presidente. Fu uno shock. Mio fratello maggiore Stephen era marine, combatteva in prima linea, mio padre era terrorizzato ma anche fiero di lui. Era convinto che si potesse sostenere le forze armate, pur essendo contrari a una politica d’intervento. E che si potesse esercitare il diritto di libera opinione senza essere considerati nemici del presidente”.

Cosa penserebbe del candidato Donald Trump?

“Non lo avrebbe mai votato, non rappresenta i valori per cui mio padre si è battuto tutta la vita. Sognava un presidente afroamericano e una donna alla guida del Paese. Sarebbe stato felice e fiero di Obama, se avesse fatto in tempo di conoscerlo”.

 

Alessandro Poggiani

Alessandro Poggiani

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da vent'anni circa, ha lavorato come battitore per libri, saggi ed articoli, e come segretario di produzione per un docufilm su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore, con la Dino Audino editore e con AGR. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e fotografo in occasione di incontri, dibattiti, presentazioni di libri, fiere librarie, vernissages e spettacoli teatrali.