Verrà proiettato venerdì 14 ottobre 2016 alle 19.00 nell’ambito della XI edizione della Festa del Cinema di Roma “Immagini residue”, l’ultimo film del grande regista polacco scomparso a Varsavia il 9 ottobre 2016 all’età di novant’anni.
L’ultima storia, quella narrata in Immagini residue (film che Andrzej Wajda avrebbe dovuto presentare al Festival del Cinema di Roma (dove saranno presenti cast e produttori), riguarda Wladyslaw Strzeminski (1893-1952), un pittore vittima delle persecuzioni comuniste, personalità complessa sotto un profilo artistico, politico e sociale, e in grado di attirare l’attenzione di un cineasta appassionato, lucido e coerente come era Andrzej Wajda.
“Da diverso tempo”, scriveva l’autore nelle note di regia, “volevo girare la storia di un artista, di un pittore. Ho deciso di portare sul grande schermo la vicenda di Strzeminski perchè è uno degli artisti polacchi di maggior talento e, allo stesso tempo, volevo mostrare il suo conflitto con lo Stato socialista”.
Stavolta Andrzej Wajda non potrà discutere personalmente della sua opera con il pubblico, con i giornalisti, con gli storici del cinema e con i critici cinematografici, com’era solito fare in giro per i festival di tutto il mondo, in cui, ad ogni incontro, stimolava riflessioni e dibattiti.
Nel corso della sua lunga carriera il regista polacco ha ricevuto numerosi applausi e riconoscimenti. Dal Premio della Giuria al Festival di Cannes per I dannati di Varsavia (1957) fino all’Oscar alla Carriera (2000), da L’uomo di ferro (1981), vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes, e in cui fa una piccola apparizione (nel ruolo di se stesso) il leader di Solidarnosc Lech Walesa, al Premio Fipresci degli European Film Awards con Walesa – L’uomo della speranza, biografia del Premio Nobel realizzata oltre trent’anni dopo il sopracitato L’uomo di ferro. Inoltre,, ben quattro fra i film da lui scritti e diretti (La terra della grande promessa – 1975 -, Le signorine di Wilko – 1979 -, L’uomo di ferro – 1981 – e Katyń – 2007 – hanno avuto una Nomination all’Oscar come Miglior Film Straniero agli Oscar.
L’impegno politico e civile, i temi dell’antisemitismo e della lotta ai totalitarismi hanno segnato l’intera opera del regista che aveva compiuto novant’anni il 6 marzo 2016. Il suo compleanno l’aveva festeggiato proprio con Immagini residue, il suo sessantacinquesimo film, l’ultimo di una carriera durata circa sessant’anni.
Nato a Suwalki nel 1926, figlio di un ufficiale della cavalleria polacca assassinato dai Sovietici nel ’40 (in quello che diventerà tristemente famoso come il “massacro di Katyn”- episodio ricostruito nell’omonimo film del 2007), durante la Seconda guerra mondiale si arruola nelle formazioni partigiane non comuniste. Alla fine degli anni Quaranta studia pittura all’Accademia di Belle Arti di Cracovia e, all’inizio del decennio successivo, si iscrive alla Scuola Nazionale di Cinematografia di Lodz, dove comincia a girare cortometraggi.
Ex allievo e poi assistente del regista Aleksander Ford, nel ’54 gli viene data la possibilità di dirigere un film da solo. Con Generazione il giovane regista (aveva ventotto anni) tira fuori tutta la sua amarezza e la sua disillusione sul cieco patriottismo e il linguaggio retorico dei tempi di guerra, utilizzando come suo “alter ego” un giovane “antieroe” interpretato da Zbigniew Cybulski.
I due film successivi (il già citato I dannati di Varsavia e Cenere e diamanti- 1958 -, anch’esso interpretato da Zbigniew Cybulski. Anche se perfettamente in grado di realizzare pellicole commerciali non d’avanguardia (spesso rifiutate dai critici cinematografici in quanto considerate “banali”), Andrzej Wajda è maggiormente interessato a opere allegoriche e simboliche (alcuni mezzi simbolici – come ad esempio incendiare un bicchiere di liquore, a voler significare la fiamma dell’idealismo giovanile drammaticamente spenta dalla guerra – appariranno ripetutamente nel corso della sua carriera in numerosi film).
Dopo Lotna (1959), Ingenui perversi (1960), Lady Macbeth siberiana (1961), Samson (1962), e Ceneri sulla grande armata (1965), in Tutto in vendita (1969), considerato il più personale fra i suoi film, esprime tutto il suoi dolore per la scomparsa dell’amico Zbigniew Cybulski, morto due anni avanti (nel ’67) in un incidente ferroviario a soli quarant’anni.
Dopo Caccia alle mosche (1969), Il bosco di betulle (1970), Paesaggio dopo la battaglia (1970), Pilato e gli altri (1971), Le nozze (1972) e La linea d’ombra (1976), manifesta la sua piena adesione al nascente movimento di Solidarność nel celebre L’uomo di marmo (1976) e nel già citato L’uomo di ferro (1981). Il coinvolgimento del regista polacco in tale movimento porterà il governo della Repubblica Popolare di Polonia a far uscire dal mercato la sua compagnia di produzione
Negli anni Ottanta realizza film quali Danton (1983), Un amore in Germania (1983), Cronache di avvenimenti amorosi, Dostoevskij – I demoni (1988).
Negli anni Novanta, in linea con la sua scelta di assumere la carica politica di senatore di Solidarnosc (viene anche nominato direttore artistico del Teatro Powszchny di Varsavia e, nello stesso periodo, membro onorario dell’Unione dei Teatri d’Europa), la sua ispirazione si concentra sugli argomenti intorno a cui aveva ruotato tutta la sua vita, ma lasciando sempre al centro di tutto l’attenzione nei confronti degli esseri umani, con le loro istanze e la loro possibilità – che è responsabilità individuale del singolo nei confronti della società in cui vive – di scegliere fra il “bene” e il “male”.
Continua a girare film, affrontando il tema della Seconda guerra mondiale ne L’anello con l’aquila coronata (1993) e ne La settimana santa (1996).
Nel ‘97 cambia direzione con Panna Nikt, un dramma sulla crescita che indaga gli aspetti più oscuri e spirituali della relazione fra tre studentesse.
Nel ‘98 la Mostra del Cinema di Venezia gli conferisce il Leone d’Oro alla Carriera.
Due anni dopo, nel corso della consegna dei Premi Oscar del 2000 riceve l’Oscar alla Carriera per i suoi numerosi contributi al cinema. In seguito donerà la statuetta alla Università Jagelloniana di Cracovia.
Nel febbraio 2006, poco prima del suo ottantesimo compleanno riceve l’Orso d’Oro alla Carriera al Festival Internazionale di Berlino.
Il suo ultimo film, dedicato a un artista vittima – nel secondo dopoguerra – di repressioni connesse al fatto che si era rifiutato di piegarsi alle norme del cosiddetto “realismo socialista”, in un certo qual modo, rappresenta una sorta di testamento di un regista che, per oltre mezzo secolo, non ha mai ceduto di un passo sul cammino della libertà.
Immagini residue, affermava lo stesso Andrzej Wajda, “è il ritratto di un uomo integro. Un uomo sicuro delle proprie decisioni, un uomo dedito a un’arte di non sempre facile apprendimento”.
Se ne va un regista e un uomo di grande statura morale e intellettuale. Questo scrivono all’unanimità tutti i giornali polacchi.
Per quanto riguarda il cinema del secondo Novecento, l’Italia ha avuto Francesco Rosi, Giuliano Montaldo, Elio Petri, Damiano Damiani, e molti altri; gli Stati Uniti hanno avuto Sidney Lumet, Sydney Pollack, Stanley Kramer, Robert Mulligan, e altri; la Francia Francois Truffaut, Claude Chabrol, Eric Rohmer, Jean-Luc Godard; la Germania Rainer Werner Fassbinder, Werner Herzog, Win Wenders e Margarethe Von Trotta; la Gran Bretagna Lindsay Anderson, Tony Richardson e Karel Reisz.
Escludendo gli “esuli” Roman Polanski e Krzysztof Kieslowski, la Polonia ha avuto Andrzej Wajda.