Morto Giuseppe Ferrara, regista di “Cento giorni a Palermo” e “Il caso Moro”

Giuseppe Ferrara se n’è andato. Il grande regista d’inchiesta è morto sabato 25 giugno 2016 a causa di un attacco...

una scena de "Il caso Moro"

Giuseppe Ferrara se n’è andato. Il grande regista d’inchiesta è morto sabato 25 giugno 2016 a causa di un attacco di cuore. Avrebbe compiuto ottantaquattro anni il 15 luglio.

Nato a Castelfiorentino (FI) nel luglio 1932, già al liceo si fa notare per quell’indole polemica e contestatrice (la prova di maturità sarà costretto a sostenerla fuori sede) che lo accompagnerà nel corso della sua lunga carriera di regista.

Nel 1949 fonda un cineclub, che propone e analizza criticamente i recenti prodotti del Neorealismo. Tuttavia, la sua attività viene fortemente osteggiata dal governo in carica e, per via del suo carattere di “novità”, verrà considerata “sovversiva”.

Nel ’51 approda all’Università di Firenze, dove, nel ’55, si laurea in Lettere (il suo relatore è il grande storico della letteratura e critico letterario Roberto Longhi) con una tesi riguardante il “Nuovo Cinema Italiano”.

Nel ’56 si trasferisce a Roma per frequentare il corso di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Durante le sue brevi “licenze” in Toscana comincerà a mettere in pratica quanto appreso nella capitale realizzando due corti in 16mm: Porto Canale e L’amata alla finestra. Entrambi i lavori riceveranno vari riconoscimenti ufficiali.

Tuttavia, una volta conseguito il diploma di regia (nel ‘59) fatica a trovare sbocchi interessanti, anche per via delle sue idee politiche piuttosto chiare e manifeste. Nei suoi periodici ritorni in Toscana, all’interno di un progetto sulla Resistenza, gira Brigata partigiana, documentario che per la prima volta vede mescolarsi immagini ricostruite con materiali di repertorio, fusione che diverrà la caratteristica fondamentale e peculiare del suo stile.

Altri variegati aspetti della realtà senese vengono affrontati in Tramonto della mezzadria, incentrato sullo spopolamento dei poderi di campagna, e ne Il pregiudizio sociale, inchiesta televisiva dedicata al celebre Palio di Siena.

Negli stessi anni alimenta la sua vocazione all’insegnamento con una serie di trasmissioni radiofoniche sul cinema (Terzo Programma, 1964) e un ciclo di lezioni sul neorealismo italiano al Consorzio Toscano per le attività cinematografiche (1964-65 ed altri corsi negli anni seguenti). Il suo interesse per il “nuovo cinema italiano” si era già concretizzato nella pubblicazione di un volume omonimo e nella piena consapevolezza del fatto che questo movimento è stato in grado di essere “storia del presente, come visione storica dell’individuo e della società in cui esso vive”. Seguendo la stessa logica, nel ’64 pubblicherà anche un volume su Luchino Visconti e, l’anno seguente, uno su Francesco Rosi.

Nel frattempo, fra numerose difficoltà (soprattutto connesse ai finanziamenti e alle produzioni), prosegue la sua attività di documentarista e regista di corti. Nel corso degli anni Sessanta riuscirà a portare a termine un’ottantina di opere, fra cui ricordiamo Le streghe a Pachino (1965), coraggiosa inchiesta sul silenzio di una Sicilia affetta da incurabile omertà mafiosa. Dopo qualche altro documentario sulla Sicilia, realizza alcuni lavori per una casa indipendente di sinistra, che utilizza il prodotto audiovisivo per la propaganda politica. È in questo periodo che Cesare Zavattini gli propone di partecipare a un progetto collettivo “che si propone[va] di fare assumere alla macchina la funzione di mezzo rivelatore e indagatore della realtà”.

Nel ‘69 fonda la cooperativa “Cine 2000”, finalizzata alla promozione ed alla produzione di opere altrimenti fermate dai condizionamenti dell’industria e del Potere (quello scritto con la P maiuscola, proprio come lo intendeva Pier Paolo Pasolini).

Nello stesso anno dirige il suo primo lungometraggio: Il sasso in bocca, opera sulla nascita e lo sviluppo del potere mafioso in Italia, ottenuta mescolando immagini di repertorio a ricostruzioni, evitando che le seconde prendano il sopravvento sulle prime. Ribaltando le regole dei tradizionali film di finzione, il regista priva la vicenda di un vero e proprio protagonista, facendo sì, attraverso il montaggio, che le connessioni, i riferimenti e i “messaggi” provengano direttamente dalle immagini.

Nel ‘75 realizza Faccia di spia, in cui la fusione fra film di finzione e documentario è meno evidente, a favore della prima forma.

Giuseppe Ferrara ricostruisce vari avvenimenti storici (l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, il caso di Giuseppe Pinelli, il colpo di Stato in Cile) tutti accomunati, secondo il regista, dall’intervento “criminale” della CIA, le cui leggi, osano gli autori, “sono quelle della mafia”. Nonostante ciò il costante utilizzo della macchina a mano sembra essere «segno evidente che Faccia di spia assolve, anche nelle fasi di ricostruzioni di fatti in teatro di posa, la sua sostanziale funzione di documento». All’interno del film ha spazio anche la figura di Alessandro Panagulis, eroe nazionale greco ucciso dal famigerato “regime dei colonnelli”, e che sarà protagonista assoluto del successivo film di Giuseppe Ferrara.

In Panagulis zei (Panagulis vive, 1977), l’equilibrio fra film di finzione e documentario si rompe definitivamente, in quanto il film è strutturato secondo la forma consueta del plot d’invenzione, intervallato da quelli che appaiono come documenti reali, ma che in realtà ne sono un’imitazione.

Con Cento giorni a Palermo, (1984) Giuseppe Ferrara torna a parlare direttamente di mafia, occupandosi dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto a soli cento giorni (da cui il titolo del film) dal suo insediamento a prefetto del capoluogo siciliano. In quest’opera, realizzata grazie ai contributi di varie associazioni culturali, il regista toscano si volge ancor più decisamente verso un cinema di fiction, costruendo la storia attorno ad un attore di tutto rispetto, il francese Lino Ventura.

Tuttavia. È con Il caso Moro (1986), interpretato dal grande Gian Maria Volonté a toccare i gangli vitali del lato oscuro del Paese, nella ricostruzione (otto anni dopo i fatti) di uno fra i più gravi delitti politici della storia repubblicana. Ormai il materiale di repertorio è divenuto semplice (anche se arricchente) supporto alla vicenda ricostruita e finzionale, mentre la rinuncia ai meccanismi hollywoodiani della suspense (ma, secondo la nota distinzione fatta da Alfred Hitchcock, sarebbe più corretto dire della “sorpresa”) si presenta come inevitabile, in quanto “gli esiti della vicenda sono conosciuti da tutti e perciò scontati in partenza”.

Dopo i falliti tentativi di avviare progetti Roberto Calvi prima e sull’attentato a Karol Wojtila, decide di tornare al documentario affrontando il ritorno alla libertà del Nicaragua dopo la dittatura di Somoza. Avvicinandosi a un discorso di carattere prettamente storico (con la ricostruzione delle decennali lotte sandiniste per la libertà e l’indipendenza) il regista torna poi al passato più recente per delineare la situazione di un Paese abbandonato a se stesso e in balia dei mercenari Contras, sostenuti dagli Stati Uniti dell’epoca di Ronald Reagan.

Dopo le esperienze televisive di P2 Story, inchiesta sulla famigerata loggia massonica con a capo Licio Gelli (cinque puntate da un’ora ciascuna) e Il cinema cos’è, innovativo esperimento di didattica della Settima Arte sul piccolo schermo, dove Giuseppe Ferrara in persona, con l’aiuto di alcuni collaboratori, introduce ai segreti del linguaggio filmico e della produzione cinematografica (nove puntate trasmesse dalla RAI), nell’87, il regista fiorentino torna ad occuparsi delle zone grigie del mondo, questa volta focalizzando l’attenzione sulle vite tormentate di giovani killer ingaggiati dal narcotraffico colombiano.

Dopo tale esperienza Giuseppe Ferrara gira (subito dopo i drammatici fatti del 1992) Giovanni Falcone (1993), film  sugli ultimi anni della vita del giudice antimafia Giovanni Falcone, in cui, attorno alla consolidata struttura di film di finzione, trovano spazio anche brevi inserti documentari che, per lo spettatore, svolgono una funzione mnemonica.

Nel ‘95 sono i Servizi Segreti a finire sotto la lente d’ingrandimento del regista toscano, il quale, su soggetto del giornalista Andrea Purgatori (che per primo svelò i misteri nascosti dietro la caduta del DC-9 Itavia vicino all’isola di Ustica il 27 giugno 1980), a partire da una strage in una stazione (inevitabile il richiamo alla bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980), costruisce una storia di coperture, sotterfugi soldi sporchi e Poteri Forti.

Nel 2002, per il settantenne regista un vecchio sogno si realizza: il film, I banchieri di Dio – il caso Calvi, che racconta le oscure vicende della finanza cattolica, incentrata sul Banco Ambrosiano e sul più noto fra i “banchieri di Dio”: Roberto Calvi. Il film viene realizzato con vari finanziamenti, fra cui quello di RaiCinema. Al posto di Gian Maria Volonté, scomparso otto anni avanti (nel ’94) e che il regista toscano aveva sempre voluto in quel ruolo, troviamo Omero Antonutti, ma lo spirito è lo stesso di quindici anni avanti. Tuttavia, per forza di cose, essendo trascorsi circa vent’anni dai fatti narrati nel film, non si tratta più di fare cronaca, bensì di affrontare la Storia con tutte le sue complessità.

Giuseppe Ferrara ha anche insegnato regia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Perugia (la sede distaccata a Terni) nel corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Produzione Artistica.

Nel maggio del 2013 ha pubblicato (per la casa editrice effequ) il libro Doppiami. L’altra voce degli attori.

La camera ardente è stata allestita in Campidoglio (nella sala del Carroccio) martedì 28 giugno 2016 ed è stata aperta al pubblico dalle 10 alle 13. La decisione di rendere omaggio al grande regista toscano è stata presa, in accordo con la sua famiglia, su disposizione della sindaca di Roma Virginia Raggi.

Alessandro Poggiani

Alessandro Poggiani

Classe 1986, storico del cinema e giornalista pubblicista, appassionato di courtroom dramas, noir, gialli e western da vent'anni circa, ha lavorato come battitore per libri, saggi ed articoli, e come segretario di produzione per un docufilm su Pier Paolo Pasolini. Dopo un master in Editoria e Giornalismo, ha collaborato con il Saggiatore, con la Dino Audino editore e con AGR. Attualmente lavora come redattore freelance, promotore di eventi culturali e fotografo in occasione di incontri, dibattiti, presentazioni di libri, fiere librarie, vernissages e spettacoli teatrali.