È morto all’età di settantasette anni il regista che vinse un Oscar con il celebre film del 1978 interpretato da Robert De Niro, Christopher Walken (che ottenne un Oscar come Miglior Attore Non Protagonista), John Cazale, e dalla giovane Meryl Streep al suo secondo film.
Sceneggiatore, scrittore e produttore, esordisce nel ‘74 con Una calibro 20 per lo specialista, interpretato da Clint Eastwood. Fra i suoi film ricordiamo anche I cancelli del cielo, I mastini della guerra, L’anno del dragone.
Se n’è andato con la testa ancora piena di idee e di progetti, un cassetto altrettanto pieno di sceneggiature inedite e l’amarezza che veniva dal fatto di non riuscire a girare un film da circa vent’anni. Michael Cimino, regista di film quali Il cacciatore (vincitore di cinque premi Oscar nel ‘79), L’anno del dragone, I mastini della guerra, Il siciliano, e di colossali flop come I cancelli del cielo, è morto a New York, la sua città, il 2 luglio 2016.
Nato nel febbraio del 1939, sceneggiatore, produttore e scrittore, si diploma in pittura e si laurea in Arti Grafiche all’Università di Yale.
Nel’62 si arruola nell’esercito, dopodiché comincia a girare documentari e reclames e studia recitazione all’Actor’s Studio con gli stessi maestri di futuri attori ed attrici del calibro di Gene Hackman Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro, Meryl Streep.
Da regista, nel giro di poco più di vent’anni, da Una calibro 20 per lo specialista (1974) a Verso il cielo (1996), girerà sette film.
“In America non si riesce più a trovar soldi per fare film che non siano blockbuster”, aveva affermato il regista newyorkese nel 2015 al Festival di Locarno, dove era stato premiato con il Pardo d’Oro alla Carriera. “Stiamo affogando nella m… con grande spreco di capacità, idee e soldi”. La sua forzata inattività, che proseguiva ormai da oltre un decennio, era stata interrotta nel 2007 da Gilles Jacob, l’allora presidente del Festival di Cannes, il quale, in occasione del sessantesimo anniversario del Festival, gli aveva commissionato un cortometraggio (HS0.1) per il film collettivo Chacun son cinéma.
Poi il silenzio totale ed il regista che a poco a poco perde le speranze di tornare dietro alla macchina da presa. “Stavo preparando il remake del film La fonte meravigliosa per Clint Eastwood, il protagonista del mio primo film. Sarebbe stato perfetto per lui, ma ha detto di no perché si sarebbe messo in competizione con Gary Cooper e avrebbe dovuto parlare troppo. Lui preferisce le scene silenziose”, raccontava pochi mesi prima di morire.
Si era formato ed aveva avuto successo negli anni Settanta – ovvero l’epoca d’oro del cinema indipendente americano – e non accettava la “deriva” commerciale della Hollywood degli ultimi anni. “Il cinema è diventato furiosamente competitivo. Per andare avanti devi diventare sempre più aggressivo, come nel footbal americano”, osservava tristemente. “Il mondo è sempre stato un posto pericoloso e per sopravvivere bisogna essere dei duri”.
Michael Cimino ammirava il cinema italiano di registi quali Luchino Visconti, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, e sperava che Cinecittà tornasse “grandissima, come ai tempi d’oro”. De Il cacciatore, considerato all’unanimità come il suo capolavoro, diceva che “non era un film di guerra, ma parlava delle conseguenze della guerra sulla vita delle persone”. E in effetti per capire la guerra (compatibilmente con il fatto che la guerra è un’esperienza “inenarrabile per chi l’ha vissuta, incomprensibili per gli altri”) e i suoi nefasti effetti sui reduci, un film come Il cacciatore (The Deer Hunter) è più efficace di dieci documentari messi insieme. “Non ho mai voluto fare un cinema politico, a tema. Ad interessarmi sono sempre stati i personaggi. E la guerra non è cambiata, è peggiorata. I giovani e l’intera società civile dovrebbero dire basta, come avvenne all’epoca del Vietnam”.
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